Accertamenti sul conto corrente: rischia una condanna per evasione il professionista che ha sul conto prelievi e versamenti sospetti non giustificati (da prove scritte?).
Controlli fiscali sul conto corrente: si cambia.
Anche i professionisti e le partite Iva, al pari degli imprenditori, dovranno giustificare i prelievi e non solo i versamenti. In caso contrario rischiano accertamento e tassazione. In più, se le somme oggetto di verifica sono elevate, scatta anche una condanna penale per evasione fiscale.
Tutto ciò perché la Cassazione ha appena riscritto uno dei principi cardini su cui si erano basate le sentenze degli scorsi anni: la sostanziale differenza tra la disciplina applicabile ad avvocati, medici, ingegneri, consulenti e altri professionisti rispetto a quella riservata invece a società e imprenditori. La sentenza della Cassazione (n. 13334 del 27.03.2019) rischia di cambiare l’approccio con il proprio conto corrente per chi svolge l’attività autonoma. In buona sostanza, per quanto riguarda i prelievi dal conto corrente: anche gli autonomi dovranno giustificarli.
Prelievi dal conto: cosa cambia
Sino ad oggi si è ritenuto, in linea con quanto imposto dalla Corte Costituzionale [C. Cost. sent. n. 228/2014], che il professionista non fosse tenuto, come invece l’imprenditore, a giustificare lo scopo dei prelievi dal conto corrente. E ciò perché egli non è soggetto a una contabilità separata come invece chi esercita un’attività imprenditoriale. Il che non lo obbliga a dover spiegare al fisco per quale ragione sta ritirando i contanti allo sportello o al bancomat, ben potendo servirgli per gli acquisti quotidiani necessari alla famiglia o alle esigenze personali.
Oggi però la Corte ha rivisto il proprio precedente orientamento ritenendo invece che anche i professionisti e gli autonomi debbano giustificare all’Agenzia delle Entrate, in caso di un controllo, sia i versamenti o i bonifici ricevuti, sia i prelievi.
Movimentazioni poco chiare
In caso di movimentazioni bancarie poco chiare e prive di giustificazioni, l’Agenzia delle Entrate può chiedere chiarimenti al professionista; se questi non offre giustificazioni valide rischia sia l’accertamento che la condanna penale. Secondo infatti la Corte può essere condannato per evasione fiscale il professionista che non riesce a giustificare non solo i versamenti ma anche i prelievi che ha eseguito sul conto corrente bancario.
Si tratta di una presunzione di colpevolezza prevista dalla legge in modo espresso solo per gli imprenditori ma dalla Cassazione estesa ora anche ai professionisti. La norma stabilisce [Art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600] che, sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari, si ritengono essere ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività (e, quindi, reddito in nero), se questo non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito. Ebbene, secondo i giudici supremi tale disposizione ha portata generale, nonostante l’utilizzo dell’accezione “ricavi” e non anche di quella “compensi” ed è applicabile, quindi, non solo al reddito di impresa, ma anche al reddito da lavoro autonomo e professionale.
Il paradosso
La decisione odierna appare un vero paradosso, non solo perché si pone in contrasto con i precedenti sino ad oggi firmati dalla stessa Cassazione, ma anche perché rende sempre più difficile la difesa per il piccolo contribuente. Difatti il professionista e la partita Iva non hanno obbligo di un conto corrente dedicato all’attività lavorativa e ben possono far transitare tutte le somme sul conto personale, quello cioè utilizzato anche per le spese personali e familiari. Quindi, come fare a ricordare, spesso a distanza di numerosi anni, se il prelievo è avvenuto per fare la spesa al supermercato o per un investimento? Se è vero che l’autonomo non ha un obbligo di contabilità separata e che non è tenuto a conservare scontrini e ricevute per le spese non connesse all’attività, come potrà difendersi da un accertamento. Per lui si porrà l’impossibile compito di ricostruire la natura delle spese sostenute pur senza un supporto documentale.
Ciò nonostante, per la Corte, le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumono tuttavia il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa.
Fonte: LA LEGGE PER TUTTI