Cassazione Civile Sent. N. 21164/19 – Asl – Recupero somme indebitamente percepite dal medico

La Corte di Cassazione ha affermato che l’ASL può recuperare solo al netto le somme che il medico ha percepito indebitamente. “Infatti, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte se il datore di lavoro debba recuperare dal lavoratore emolumenti che questi ha riscosso in eccesso (e, quindi, indebitamente), per qualsiasi causa, tale recupero deve essere fatto al netto delle ritenute fiscali, in quanto il datore di lavoro, salvi i rapporti col Fisco, può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore soltanto nei limiti di quanto da questi effettivamente percepito, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente”.
FATTI DI CAUSA 1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 23 luglio 2013) rigetta l’appello della ASL – Azienda Sanitaria Locale N. I Centro avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 15408/2012, di parziale rigetto del ricorso di F. L. e conferma la sentenza appellata. La Corte d’appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che: a) il primo Giudice ha respinto la domanda principale di F. L. diretta all’accertamento dell’inesistenza del proprio debito per la restituzione dei Compensi ricevuti dalla ASL – in qualità di medico convenzionato di medicina generale con rapporto a tempo indeterminato con l’Azienda – a titolo di assegno di anzianità ad personam ex art. 59, lettera A), del CCNL 2005 per il periodo gennaio 2005-giugno 2008, con conseguente condanna del ricorrente alla restituzione degli importi trattenuti a decorrere da dicembre 2009; b) il Tribunale ha, invece, accolto la domanda subordinata del L. con la quale si chiedeva di riconoscere il proprio debito di restituzione delle somme percepite in eccesso limitatamente ai relativi importi netti, detratte le ritenute previdenziali e fiscali; c) l’unica questione di merito da risolvere è quella relativa a stabilire se il recupero delle somme indebitamente corrisposte dovesse essere effettuato dalla ASL al lordo oppure al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali; d) secondo quanto affermato da Cass. 2 febbraio 2012, n. 1464 tale ripetizione riguarda le somme “percepite” e quindi va fatta al netto, non potendosi pretendere la restituzione al lordo delle ritenute fiscali allorché esse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente; e) anche il Consiglio di Stato si è pronunciato nello stesso senso; f) la P.A. può provvedere a chiedere il rimborso direttamente al Fisco delle ritenute e dei versamenti fiscali disposti quale sostituto di imposta; g) tale orientamento è da condividere. 2. Il ricorso della ASL – Azienda Sanitaria Locale N. I Centro domanda la cassazione della sentenza per un unico motivo; F. L. resta intimato. RAGIONI DELLA DECISIONE I — Sintesi delle censure 1. Con l’unico motivo di ricorso la ASL denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o errata applicazione dell’art. 2033 cod. civ., del d.P.R. n. 600 del 1973 e del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dai quali si desume che il recupero in oggetto deve avvenire al lordo delle imposte versate all’Erario dall’Ente erogatore in qualità di sostituto di imposta, visto che il L. era legato alla ASL da un rapporto di lavoro autonomo e non subordinato (il che rende improprio il richiamo contenuto nella sentenza impugnata a Cass. n. 1464 del 2012). Nella specie la restituzione è stata effettuata mediante compensazione del lordo sul lordo che ha portato a sottrarre progressivamente al L. le somme da restituire all’Azienda, con una operazione che, ai fini fiscali, è stata r, neutra visto che il percettore ha riscosso quanto gli spettava con le ritenute d’acconto operate solo sulle somme effettivamente percepite. II — Esame delle censure 2. Il ricorso non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte. 3. Deve essere, in primo luogo, precisato che il profilo di censura riguardante la configurazione del rapporto di lavoro del L. come autonomo non trova riscontro nella sentenza impugnata, quindi risulta nuovo e come tale inammissibile. Va, infatti, ricordato che, come di recente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SU 26 luglio 2018, n. 19874), per costanti indirizzi della giurisprudenza di legittimità: a) nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (vedi, per tutte: Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 26 marzo 2012, n. 4787; Cass. 30 marzo 2000, n. 3881; Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; Cass.5 giugno 2003, n. 8993; Cass. 21 novembre 1995, n. 12020);b) pertanto, qualora una determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto e che non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, deve denunciarne l’omessa pronuncia indicando, in conformità con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio di merito abbia già dedotto tale questione, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura (tra le tante: Cass. 29 gennaio 2003, n. 1273; Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. 21 febbraio 2006 n.3664 e Cass.28 luglio 2008 n. 20518; Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 23 settembre 2016, n. 18719; Cass. SU 26 luglio 2018, n. 19874; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038). Nella specie la ricorrente non ha dimostrato, in conformità con i suindicati principi, che l’indicato profilo di censura era stato già tempestivamente devoluto al Tribunale e poi riproposto alla Corte d’appello. 4. Nel merito il motivo è infondato. 4.1. Infatti, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte se il datore di lavoro debba recuperare dal lavoratore emolumenti che questi ha riscosso in eccesso (e, quindi, indebitamente), per qualsiasi causa, tale recupero deve essere fatto al netto delle ritenute fiscali, in quanto il datore di lavoro, salvi i rapporti col Fisco, può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore soltanto nei limiti di quanto da questi effettivamente percepito, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (Cass. 2 febbraio 2012, n. 1464; Cass. 25 luglio 2018, n. 19735; Cass. 20 maggio 2019, n. n. 13530 nonché, con specifico riferimento al lavoro pubblico: Cass. SU 9 giugno 2017, n. 14429 e ivi ampi richiami). 4.2. La sentenza impugnata risulta conforme al suindicato principio, sicché va esente da ogni censura. III — Conclusioni 5. In sintesi, il ricorso deve essere respinto e nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede. 6. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro.

Autore: Anna Macchione – Ufficio Legislativo FNOMCeO

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